DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)

mercoledì 25 aprile 2018

Di Battista: "Mai alleanze con chi ha distrutto il Paese o lascio il M5S"

M5s-Pd, il solo fatto che Fico discuta con il nemico giurato è una presa in giro.

Blog di Andrea Viola, su Il Fatto Quotidiano, 24.4.18

Le novità politiche sono talmente tante e quasi rivoluzionarie per il partito di Luigi Di Maio che sarebbe troppo facile continuare a evidenziare tutto le contraddizioni degli esponenti grilini. Il solo fatto che in questo momento Fico, a nome dei Cinquestelle, stia discutendo con il nemico giurato chiamato Pd, è un fatto di per sé beffardo. Gli spunti di riflessione sono enormi. Si potrebbe dire ad esempio: nascono tutti incendiari e poi muoiono pompieri. Ma troppo banale. In circa 50 giorni dalle passate elezioni politiche non si sente più volare una mosca contro il Pd.

Tutto dimenticato. Ma a parte queste facili critiche è forse importante analizzare alcuni aspetti fondamentali della vicenda politica di questi mesi. La giustificazione di tutto è il fantomatico Contratto politico che offre il partito di Di Maio. Dieci punti privi di reale e concreto approfondimento ma che soprattutto non tengono più conto delle enormi promesse elettorali fatte in precedenza.
In tutto questo, sembra che finalmente gli ex antisistema siano scesi dalla Luna e approdati sulla Terra. Insomma, si sono accorti che non hanno vinto le elezioni e che per governare occorre allearsi con qualcuno. Il caro e vecchio inciucio. Ma ora per evitare facili ironie si cambia anche il lessico a quello che sta accadendo.
Le domande al popolo grillino sono e sarebbero tante. Ad esempio, siete stati interpellati e avete votato per scegliere l’alleanza di governo? Avete, per caso assistito in streaming alle discussioni o alle telefonate fra Di Maio e Salvini? State per caso sentendo i dialoghi fra Fico e il Pd? Avete votato in Rete per scegliere i dieci punti del fantomatico Contratto politico da sottoporre agli altri partiti? Insomma la risposta la conosciamo: assolutamente NO.

Ora, le solite risposte dovranno essere evitate. Perché, se per caso il Pd (spero personalmente di no) si alleasse con il Movimento 5 Stelle, automaticamente i miei post tanto odiati dai tifosi grillini dovrebbero diventare bellissimi e condivisi. Diventeremmoalleati di governo. Una grande burla.
Scherzi a parte il problema è serio perché riguarda l’Italia e non le poltrone. Se in questi anni non ci fosse stata un’esagerata guerra contro Matteo Renzi e contro il Pd questa situazione oggi non sarebbe così drammatica ed imbarazzante. Si è voluto, con l’aiuto di una parte dell’informazione, colpire il vero cambiamento e la novità portata avanti con coraggio da Renzi.
Si è voluto boicottare il referendum costituzionale per fare un dispetto a Renzi mentre in realtà ci ha solo perso l’Italia e lo stesso Movimento 5 Stelle. Oggi se il referendum fosse passato ci sarebbe stato un chiaro vincitore e forse un governo 5Stelle. Invece, ha prevalso la logica della distruzione ad ogni costo per influenzare l’opinione pubblica e cercare di ottenere consensi sulle ceneri del Pd. Ma guarda il destino, ora il Pd è diventato un ipotetico e unico alleato per dare vita a un governo del Movimento 5Stelle.

Tutto sarebbe lecito e possibile. Però lasciatemelo dire. In questi anni solo perché si apparteneva al Partito democratico eravamo irrisi e demonizzati senza alcuna distinzione.
La guerra politica è finita? Avete deciso così?
Benissimo, abbiate almeno l’umiltà di chiedere scusa e forse qualcosa per l’Italia ancora è possibile farlo.
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Di Battista: "Mai alleanze con chi ha distrutto il Paese o lascio il M5S"

https://www.youtube.com/watch?v=Z5kyeXqzEfQ
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“Traditori, se andate col Pd veniamo a prendervi a casa”. La rabbia nel mondo pro M5S.

La torsione improvvisa del Movimento verso il Pd è stata, forse, un po’ troppo improvvisa persino per i suoi standard. È indicativo che i commenti del blog delle stelle, quello rimasto alla Casaleggio (dopo la migrazione di Grillo altrove), siano spessissimo di questo tenore: «Dopo 11 anni, prendo atto che si è passato dal vaffanculo, al Pd. Credo che il prossimo vaffanculo gli italiani lo daranno a voi. Che delusione». Oppure: «Ritorniamno al vaffa e ci prendiamo il 50%». O ancora: «La più grande cazzata dopo il week-end è questa qui (storpiando una famosa canzone di Jovanotti). Sono contrario a qualsiasi accordo con il Pd e se il Pd dovesse dire di si io andrò via e mi tessererò con la Lega».
(La Stampa, 25.4.18)




Per un ripasso della Liberazione


Quanti caduti ebbero gli Alleati per la liberazione dell'Italia?

Lo sforzo bellico in territorio italiano costò agli Alleati più di 120.000 caduti (fra morti in battaglia, dispersi e feriti in seguito deceduti). 
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_liberazione_italiana#Conseguenze

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Quanti partigiani sono stati uccisi durante la guerra di liberazione?

http://www.italia-liberazione.it/ita/doc/perona_vespa_1.pdf

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Classificazione dei caduti per la lotta di Liberazione

http://www.storiatifernate.it/pubblicazioni.php?&cat=50&subcat=117&group=382&id=1383

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DEDICATO ALL’ANPI CHE PER IL 25 APRILE CONTINUA A FAR SFILARE COME UNICA UNITÀ DI COMBATTENTI QUELLA PALESTINESE E RIFIUTA LA BRIGATA EBRAICA – LA STORIA DI AMIN AL-HUSEYNI, GRAN MUFTÌ DI GERUSALEMME, CHE ORGANIZZÒ LE SS ISLAMICHE PER FARE STRAGE DI EBREI IN BOSNIA - SI SALVÒ E DIVENNE IL PADRE DEL FONDAMENTALISMO CHE ARMO' GLI ATTENTATORI DI MONACO: EVIRARONO UNO DEGLI ATLETI ISRAELIANI:
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/dedicato-all-rsquo-anpi-che-25-aprile-continua-far-sfilare-come-172316.htm
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25 Aprile a Roma, l'ira della Comunità ebraica: "Bandiere palestinesi, non saremo al corteo unitario"

E attacca l'Anpi che "nonostante gli accordi non prende posizione ufficiale" contro la presenza di simboli estranei allo spirito della giornata".
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Anche Freccero soffre di ...congiuntivite

“NON VORREI CHE IL M5S TIRI LA VOLATA AL GOVERNO DEL PRESIDENTE” - FRECCERO RANDELLA I GRILLINI: “GIACINTO DELLA CANANEA È ALLIEVO DI SABINO CASSESE CHE E’ IL NOME PRIVILEGIATO DEL PRESIDENTE MATTARELLA - NON VORREI CHE PER ESSERE MOLTO ISTITUZIONALE, PER ESSERE MOLTO PER BENE, IL M5S RISCHI DI…”
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Complimenti, dott. prof. Freccero!

martedì 24 aprile 2018

Il maestro (Alex Corlazzoli) e la margherita (Michele Serra)

Ogni tanto, leggendo il Fatto,  capita che cade l'occhio sul blog del "maestro e giornalista" Alex Corlazzoli.  Quasi sempre, contemporaneamente, cadono anche le braccia. Sia per come scrive il maestro e sia per ciò che scrive, questo detentore della vera ricetta che può salvare la scuola italiana. 

Ma per favore, maestro, si ravveda e, già che c'è, migliori il suo italiano.

Qui sotto leggasi il suo sproloquio in merito all'articolo di Serra sul bullismo. 
E leggansi anche le sue ...gesta rivoluzionarie
di liceale sedicenne.  

Poveri noi...
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Bullismo, è evidente che Michele Serra non frequenta i poveri.

dal blog di Alex Corlazzoli "maestro e giornalista", su il Fatto Quotidiano , 23.4.2018


Papa Giovanni XXIII era un maleducato. Così lo sarebbero anche padre Enzo Bianchi, figlio di poveri, ed Ermanno Olmi che ha avuto una madre operaia e un padre ferroviere.
Il fighetto teorema usato da Michele Serra nella sua prima versione dell’Amaca non lascia spazio ad interpretazioni: “Il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale”. Così ha scritto il giornalista, che il giorno dopo ha tentato di mettere una pezza dopo le critiche confermando la visione di uno che ragiona alla maniera di chi non conosce e non frequenta i ceti sociali poveri. D’altro canto Serra ha fatto il liceo Manzoni a Milano e sarei curioso di sapere che scuola ha fatto fare ai suoi figli.
La penna di Repubblica ha usato questo indegno teorema per giustificare un’altra tesi fighetta a proposito degli atti di intimidazione di alunni contro professori: “Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore”.

Sia chiaro la nostra società è classista. Nessuno lo vuole negare, ma ho l’impressione che il giornalista che vive tra Milano – dove è cresciuto – e il piacentino – dove ha una terra di molti ettari, che si diverte a coltivare quando ha tempo – non conosca la dignità e la fatica di quegli operai che magari non sanno il latino e il greco ma hanno insegnato per prima cosa ai loro figli il rispetto per l’altro. Ho la sensazione che non abbia mai messo piede allo Zen di Palermodove Giovanni tra mille sacrifici ha lottato per riuscire a fare le scuole superiori e oggi insegna ad altri ragazzi il riscatto sociale. Ho il dubbio che a casa di una famiglia di ceto sociale non pari al suo non abbia mai pranzato e chissà come se la immagina. E chissà se è mai stato in un professionale o in tecnico per parlare in quel modo.
Le parole di Serra mi hanno ricordato quella volta che un dirigente del liceo classico di Crema anni fa mi mi disse: “Solo da qui uscirà la classe dirigente del futuro”. Io stesso sono cresciuto in una famiglia di ceto sociale povero: a casa mia non solo non c’erano i libri ma nemmeno la libreria. Mia madre leggeva Confidenze Intimità e il settimanale cattolico per vedere i necrologi. Mai stato al cinema. Sì, è vero forse non mi hanno insegnato la padronanza dei gesti e delle parole ma nella mia vita ho incontrato altre persone (la maestra e il prete) che mi hanno permesso di crescere di là del condizionamento sociale. E la stessa “maleducazione” dei miei (per usare la tesi di Serra) mi è stata utile per crescere pensando di voler essere diverso da loro. Serra infatti dimentica una cosa: i padri dei ricchi vogliono i figli a loro somiglianza mentre i figli dei poveri sono mossi dal grande desiderio di riscatto sociale. Una morsa che in questi anni ha davvero cambiato l’Italia: lo dimostra anche la politica che finalmente porta in Parlamento i figli di una classe sociale più povera.

A inchiodare la società ad una struttura classista e conservatrice(come scrive nell’Amaca) sono proprio quelli come quel dirigente del liceo di Crema e quelli come Serra convinti che al classico ci vanno i migliori. Solo un liceale su sei proviene da una famiglia operaia. Nel 2016 al classico si sono diplomati solo l’8,7% di ragazzi figli di impiegati o di genitori che stanno alla catena di montaggio a fronte di un 45% di figli di professionisti, dirigenti, docenti universitari e imprenditori. Allo scientifico sono usciti il 13,1% di ragazzi che provengono dalle classi sociali più povere. Ma non basta. Se andiamo a vedere la questione ripetenti scopriamo che il 30% di chi viene bocciato al liceo due o più volte appartiene alle famiglie operaie contro il 17% della classe elevata. Questo perché questa Scuola e la gente come Serra vogliono preservare il recinto del ceto alto.
Su una cosa Serra ha ragione: “Il popolo è violento” ma non (come dice lui ) “perché cerca di mascherare la propria debolezza” ma perché si ribella, perché urla, perché grida la propria condizione. A 16 anni al classico scaraventai il banco davanti allaprofessoressa di greco perché a me, figlio di operai, disse all’inizio dell’anno: “Tu verrai bocciato”. Mi bocciarono e con il casco ruppi i vetri del liceo urlando: “Borghesi di merda”.

Serra e molti diranno: eccolo il maleducato, quello che non aveva padronanza di gesti e parole, perché veniva dal ceto basso. Il teorema funziona. Peccato che in quel mio gesto c’era tutta la rabbia, la violenza di chi si è visto calpestato da compagni che ti trattavano come un pezzente e da insegnanti figli a loro volta di liceali che mal sopportavano l’idea di avere tra le scatole uno che arrivava a scuola in motorino (l’unico) e che raccoglieva firme contro la contessina che spuntava un’ora in ritardo perché andava dall’estetista.
Serra nella replica del giorno dopo nel mettere la pezza peggiora la situazione: si ricorda improvvisamente che anche nei licei ci sono arroganti e screanzati ma si giustifica dicendo che in “1500 battute si è costretti ad evitare la zavorra dell’ovvio” e per quello non ha parlato di loro interessato solo al “macro fenomeno”. Non voglio dare lezioni a Serra ma ricordo che il mio capo redattore a La Provincia di Cremona davanti al giovane apprendista che aveva bisogno di più battute per un articolo mi disse: “Corlazzoli in due mila battute ci è stato il disastro del Vajont, figuriamoci”.
Non solo, il giornalista cita don Milani sulla scuola di classe ma forse dovrebbe ricordare che proprio i ragazzi di Barbiana – montanari, figli di un ceto sociale povero – grazie all’incontro con il priore sono diventati sindacalistipoliticigiornalisti.

Per il resto la diatriba con Luca Telese e il pippone fighetto sulla sinistra con citazioni che il ceto sociale povero non capirà non mi interessano. Mi interessa un’altra cosa continuare questo dibattito sulla differenza di classe che c’è, che esiste, che non morirà mai ma che aumenta proprio a causa delle fosse scavate da chi come Serra è ancora convinto che “Il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale”. La società dei “figli di Serra” continuerà a cantarsela e suonarsela senza sentire le urla di chi non ha fatto il Manzoni, non è un ignorante, non è maleducato ma ha una strada in salita anziché una in discesa.
Serra non mi leggerà, sono un giornalista di un altro ceto rispetto a lui. Non perderà certo tempo con me ma mi piacerebbe invitarlo a parlare di quanto lui ha sollevato in un quartiere povero di Palermo o in un professionale, non dietro una comoda scrivania. Troppo facile.

lunedì 23 aprile 2018

7) Stato-Mafia. Trattativa. Sentenza secondo Dagospia-Posta



Lettera 7
Caro Dago, intere carriere di magistrati costruite su trattative con mafiosi che si pentono o dicono di pentirsi e adesso condannano il generale Mori che Riina l'ha fatto arrestare? Ma in che Stato viviamo? 
Lino

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domenica 22 aprile 2018

6) Stato-Mafia. Trattativa. I conti di Mariateresa Conti

Tutti i conti che non tornano nella sentenza Stato-mafia


Si dovranno leggere le motivazioni. Ma già dal dispositivo, letto venerdì in aula dal presidente della Corte d'assise d'appello di Palermo Alfredo Montalto, viene fuori palesemente che qualcosa non torna.

Anzi, è più di qualcosa che non torna nelle condanne di boss e carabinieri per la presunta trattativa Stato-mafia per fermare le stragi nei primi anni '90.
L'anomalia più macroscopica riguarda il Ros e in primis il generale Mario Mori che lo guidava. Cosa dice il dispositivo? Dice che il generale Mori, il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno, i vertici del Ros imputati in questo processo, sono condannati «limitatamente alle condotte contestate come commesse sino al 1993». Vanno invece assolti «per le condotte contestate come commesse successivamente al 1993». Che vuol dire? Vuol dire che Mori e il Ros sono, secondo questa sentenza, colpevoli per i contatti con Vito Ciancimino nel tentativo di trovare un contatto per fermare l'onda stragista di Cosa nostra e per giungere alla cattura dei principali latitanti(mai contestati come reato, era il lavoro del Ros) e per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina (proprio loro che hanno catturato il superboss). Ma per la mancata perquisizione del covo di Riina Mori e il capitano «Ultimo», proprio il carabiniere eroe che ha preso Riina, sono stati processati (il pm all'epoca era ancora Antonio Ingroia) e assolti. L'accusa era favoreggiamento aggravato. Ed era stato addirittura lo stesso Ingroia, il padre del processo trattativa, a chiedere per loro l'assoluzione. La sentenza è definitiva, ed è agli atti del processo trattativa che adesso per gli stessi fatti condanna. Alla faccia del ne bis in idem, il principio secondo cui non si può essere processati due volte per gli stessi fatti.
Non torna nemmeno, per Mori e il Ros, l'assoluzione per le vicende successive al 1993 disposta da questa sentenza. Il perché è presto detto. Mori e il colonnello Mario Obinu in questo caso, sono stati processati e assolti (la sentenza è definitiva, l'accusa era favoreggiamento aggravato) per la mancata cattura il 31 ottobre del 1995, di Bernardo Provenzano, che avrebbe partecipato a un summit in un casolare a Mezzojuso, nelle campagne di Palermo. Ma quel processo non riguarda solo quell'episodio del 1995. Nella smania di infilare la trattativa Stato-mafia ovunque, quel processo si è allargato anche al 1992 e al 1993. In quel processo sono entrate le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il papello di Riina, il contropapello, insomma tutto quello che nel processo trattativa Stato-mafia è poi confluito nuovamente nell'accusa al generale Mori. In quella sentenza c'è pure, a proposito dei contatti con Vito Ciancimino, l'elogio di Mori e del Ros per quella iniziativa «lodevole» e «meritoria». Adesso, capo d'accusa diverso - la minaccia o violenza a corpo politico dello Stato - e fatti identici, persino i testimoni sono gli stessi, Mori viene invece condannato. Per gli stessi fatti per cui era stato assolto, definitivamente.
I conti non tornano nemmeno con la condanna-assoluzione di Marcello Dell'Utri, che sembra disegnata apposta solo per tirare dentro Silvio Berlusconi. Anche Dell'Utri è stato in parte assolto, come il Ros. Ma per il periodo opposto: è innocente «per le condotte contestate come commesse nei confronti dei governi precedenti a quello presieduto da Silvio Berlusconi». Colpevole, invece, per le condotte del 1994, quando il premier era appunto il Cavaliere. Ma anche in questo caso c'è un'assoluzione definitiva. La sentenza che condanna Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa assolve infatti l'ex senatore per i fatti successivi al 1992. Questa sentenza invece, per le stesse vicende, lo condanna.
Infine Berlusconi, convitato di pietra citato in sentenza senza neppure essere imputato. Che i pm puntassero a lui si era capito quando erano state introdotte agli atti le intercettazioni in carcere di Giuseppe Graviano, che nulla c'entravano con la trattativa. Ora la sua citazione in sentenza. E poi c'è l'assoluzione dell'ex ministro Mannino, i 200 documenti rifiutati alla difesa. Anomalie, troppe. E la verità su quegli anni, già sancita in sentenze definitive, viene stravolta.
(Mariateresa Conti, Il Giornale, 22.4.2018)

5) Stato-Mafia. Trattativa. La sentenza secondo Martelli

"Una leggenda il fronte unitario contro la mafia"


Martelli sulla "sentenza": il tentativo di passare alla seconda, o alla terza repubblica, è fallito il 4 dicembre del 2016.


"Il tentativo di passare alla seconda, o alla terza, è fallito il 4 dicembre del 2016. Come al solito ci stiamo aggirando tra le macerie della Prima Repubblica, un esercizio sportivo che dura da 25 anni". Così l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli in un'intervista a Formiche commenta le dichiarazioni di Di Maio sulla sentenza per il processo sulla trattativa "Stato-mafia". "Sono molto curioso di leggere le motivazioni, che dovranno contenere qualche elemento di prova di questo "tradimento". Perché di questo si tratterebbe, se un'Arma che ha per motto "Nei secoli fedele" avesse davvero perpetrato un "attentato al corpo politico dello Stato" ha detto Martelli, secondo cui "siamo di fronte a una contesa storica, quasi atavica, tra i Ros e la procura di Palermo".
L'ex ministro socialista ha confermato che "c'erano effettivamente degli atteggiamenti anomali. Il capitano De Donno si presentava al ministero e parlava direttamente con Liliana Ferraro a nome del colonnello Mori". L'impressione dell'ex Guardasigilli è che "il processo sia costruito non tanto sui fatti e le responsabilità dell'epoca, ma su come in un secondo momento, magari a distanza di vent'anni, quei fatti sono stati commentati e rivisti. Peraltro non dai protagonisti, ma da parte di qualcuno che ha sentito brandelli di conversazione da terze persone e si è fatto un'idea".
Martelli smentisce "la leggenda di un fronte unitario contro la mafia": "Quando Scotti ed io presentammo il "decreto Falcone" con le misure più severe contro Cosa Nostra, si riunì l'assemblea congiunta di deputati e senatori Dc che all'unanimità respinse il decreto, che fu poi dichiarato incostituzionale dalla Commissione problemi dello Stato. Altro che unità. La verità è che se non ci fosse stato l'assassinio di Paolo Borsellino quel decreto probabilmente non sarebbe passato".
(Huffington Post, 22.4.2018)

4) Stato-Mafia. Trattativa eccetera eccetera. G.Ferrara

“Giurati che riscrivono la storia, movimenti che stanno prendendo il potere, tutti senza sapere di che si tratti. Ma tempo qualche mese e il regime dell’asineria mostrerà la corda”
di Giuliano Ferrara 22 Aprile 2018 alle 06:13 www.ilfoglio.it
Questi giurati che riscrivono la storia senza sapere di che si tratti, e questi movimenti che stanno prendendo il potere senza sapere di che si tratti, sono tigri di carta. Ho molta fiducia nel futuro di questo paese. Mi dispiace per il generale Mori, che per il suo coraggio avrebbe dovuto essere assolto (e per gli altri: mai arrestare Totò Riina, è pericoloso). Mi dispiace per Marcello Dell’Utri, che paga in modo atroce il suo palermitanesimo. Mi dispiace per Nicola Mancino, il cui atteggiamento piagnucoloso e dissociato meriterebbe l’ergastolo morale. Mi dispiace per Enzo Scotti, che l’ha fatta franca se Dio vuole e ha messo in piedi le Università che allevano i grillozzi, e gli faccio tanti auguri. Ma questi della nuova ondata forcaiola sono tigri di carta.
L’Italia è un paese pieno di volubilità e di disprezzo, informale e feroce. Finirà tutto in farsa. E di nuovo non ci sarà tragedia. Chi crede nella sentenza di Palermo? Quelli che l’hanno preparata, quelli che l’hanno emessa, i calunniatori che l’hanno resa possibile. Chi crede in un governo grillino? Chi lo ha votato per sberleffo e tigna si sta già rimangiando la parola, è solo questione di tempo, e tempo breve. Saranno messi alla prova, saranno inadempienti, la Taverna alla testa dello Stato è decisamente troppo. Vedo e rivedo il video della classe lucchese, la vita bassa degli adolescenti che infangano e bullizzano (si dice così) il piccolo e mite funzionario del sapere, l’ometto delle élite, vedo e rivedo le intimidazioni e le chiassate a umiliazione dell’insegnante, vedo e rivedo il video e penso a chi l’ha girato, sono certo che non li butteranno fuori, l’espulsione da tutte le scuole del Regno non si porta più da molto tempo, ma so che così non si andrà avanti, tra non molto la Taverna chiude le sale giochi. Verrà la reazione e avrà gli occhi attoniti di chi non accetta la degradazione autolesionista che ci siamo imposti. Qualcuno da fuori ci salverà, è già successo tante volte nella storia italiana e degli italiani. Ho grande fiducia nel futuro di questo paese.
La morte della diplomazia. 
Non è più il tempo dei negoziati condotti con discrezione. Siamo nell'età dell'impazienza e della meschinità, dove i leader ai tradizionali canali diplomatici preferiscono le bordate sui social network. Un'inchiesta di Matteo Matzuzzi Cosa c'è nel monografico di lunedì 23 Aprile
Voi dite che bisogna argomentare, bè, sì, in un certo senso è vero, lo si è fatto, lo si rifarà, c’era una volta un cinico mercante di morte, i soliti dieci anni di galera. C’era una volta il reddito per tutti, c’era una volta la flat tax, c’erano una volta le pensioni. Uno si impegna a smantellare i teoremi, si ingegna a decostruire quel mostro che è l’opinione pubblica, questo gruppazzo di analfabeti, di gesuiti e di grillozzi che sta devastando il paese, goloso di devastazioni. Ma alla fine bisogna dire che aspettare è una virtù. Wait and see, dicono gli anglomani. Aspettare e vedere, non c’è molto altro da fare se non nutrire fiducia. Una volta durò vent'anni, ma erano tempi lenti, ora è diverso. Tempo qualche mese e il regime dell’asineria mostrerà tutta la sua corda. Ho grande fiducia nel futuro di questo paese.
Il tempo non è affatto galantuomo, è un gran figlio di mignotta. Ma in questo caso farei un’eccezione. E’ troppo grossa, la tigre, per non essere di cartapesta. E’ troppo smaccato, l’esperimento di vivisezione del corpo italiano, per non alludere a una nuova vita dietro l’angolo. Ci saranno delle risate, che seppelliranno tutto in un battibaleno, ruspe, felpe, Rousseau e programmi di governo. Non dirò che vedo la luce in fondo al tunnel, una metafora che mi è sempre sembrata pigra, e nemmeno che l’aurora è vicina, magari dalle dita tinte di rosa, non sono tempi omerici, Troia è lontana. Ma ho il presentimento che ci risveglieremo prestissimo dal coma etilico, dalla grande sbronza nazionale, e sarà un buon momento, senza vendette, senza decapitazioni, molte risate, appunto, alle spalle delle tigri. Ho grande fiducia nel futuro di questo paese.

3) Stato-Mafia, la trattativa. La sentenza secondo Facci

“NON C'È PROVA DELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA” - FILIPPO FACCI: “RESTA DUNQUE UNA ‘TRATTATIVA’ SENZA LOGICA MA SOPRATTUTTO SENZA UNA CARTA, UN DOCUMENTO O QUALSIASI ALTRA FONTE CHE NE ATTESTI L'ESISTENZA: LE ‘PROVE’ SONO TUTTE TESTIMONIANZE MOLTO TARDIVE DI MAFIOSI E DINTORNI, E LO SCAMBIO SAREBBE IL MANCATO RINNOVO DEI 41BIS DA PARTE DEL MINISTRO CONSO. LE TESI DELLA PROCURA SONO STATE SCONFESSATE 4 VOLTE. LA SENTENZA SARA’ ROVESCIATA IN APPELLO”.

Ritenta, sarai più fortunato. Già distrutto da quattro sentenze, l' impianto del processo «trattativa» ha trovato fortuna (diciamo) in un dispositivo incredibilmente scandaloso, soprattutto per i pochissimi che sanno davvero di che cosa stiamo parlando: ma, se questo è ancora un paese occidentale, il dispositivo non durerà, e verrà rovesciato in Appello e in Cassazione. Questo è pacifico: ma nella breve distanza, intanto, succede quel che succede.

La prima balla è che non si sapesse come sarebbe finita, anzi, che sia stata «una sentenza che pochi si aspettavano» come ha scritto ieri La Stampa, giornale che forse, con quel «pochi», si riferiva a chi seguiva ancora il processo e non l'avesse derubricato tra le follie siciliane di cui nessuno capisce niente - nè gl' importa - come pure, tra addetti ai lavori, si diceva capissero i giudici popolari. Ma i giudici popolari, si dice anche, non contano nulla, e infatti il vero protagonista resta lui, Alfredo Montaldo, il giudice del dibattimento su cui le difese riponevano poche speranze non solo per il comportamento in istruttoria, ma per via del curriculum.
È il giudice, tra l'altro, che nel 1995 tenne Calogero Mannino in carcere per una vita, e che, dopo che Mannino aveva perso 40 chili tra le sbarre, disse che era stata una sua scelta dietetica perché si nutriva solo di verdure. Mannino è stato assolto con rito abbreviato nel 2015: ma qui siamo al punto che a non contare nulla non sono solo i passati comportamenti dei giudici - questo è normale - ma neppure le chiare e inoppugnabili sentenze che già hanno spiegato che non ci fu nessuna «trattativa» tra Stato e mafia, in Italia.

Le sentenze precedenti, soprattutto quella del processo Mori-Obinu (mancata cattura di Provenzano) fu vergata dal giudice Mario Fontana e ha costituito un fantasma che tutti avvertivano ma che nessuno vedeva: forse per le motivazioni cristalline che fornì, forse per come distrusse la stessa parte di procura che oggi festeggia, forse perché chi si scagliò contro i tre giudici del processo Mori-Obinu - come Marco Travaglio - ne ricavò 150mila euro da dover risarcire.

I TESTI RESPINTI 
Non si sapeva come sarebbe finita - ora dicono - ma a parte che non è finita (i primi gradi, in Italia, sono fatti per essere rovesciati) c' era comunque la montagna di documenti della difesa che non erano stati accolti, soprattutto c' erano i testi respinti: compresi calibri come Ilda Boccassini, Giuseppe Ayala e Antonio Di Pietro.
Non si sapeva come sarebbe finita, ma la maniera in cui il gip Piergiorgio Morosini subentrò al gip Michele Alaimo fu colta come un segnale. Anche perché Morosini, poi passato al Csm, nel 2011 scrisse un libro («Attentato alla giustizia») in cui si citavano ampiamente «i recenti sviluppi sulla "trattativa" tra Stato e mafia che sarebbe sullo sfondo delle stragi del 1992 e 1993».

Poi ci sarebbe il citatissimo «mutato clima politico», ma queste son cose da dietrologi.
Una sorta di compiacimento neo-stagionale si coglie soprattutto dal modo in cui tanti giornalisti han scritto della sentenza, mentre per il resto è innegabile soltanto (soltanto?) che la sentenza influenza l' unica trattativa certa (quella per la formazione di un governo) e che la modifica è in chiave anti-Forza Italia: la quantità di scemenze dette nelle scorse ore evidenzia, per tornare a una battuta di Berlusconi, che Mediaset non ha abbastanza cessi per farli pulire a tutti i grillini che dovrebbero farlo.

Ecco, forse si può dire che non si sapeva che i giudici avrebbero aderito a tal punto con le richieste dell' accusa, consentendo ora il delirio dei riscrittori della storia d' Italia in chiave criminale. Più o meno così: le stragi dei corleonesi di Riina ebbero alcuni uomini delle istituzioni tra i complici del ricatto mafioso fatto allo Stato: da qui la condanna per «violenza e minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario», ciò che fece piegare un governo alle richieste di Cosa nostra. Politici e carabinieri avrebbero cioè offerto l' attenuazione del carcere duro per 300 mafiosi già in galera, ma la trattativa sarebbe proseguita anche dopo l' arresto di Riina (1993) e avrebbe portato altri benefici come il mancato arresto del successore di Riina, Bernardo Provenzano.

Nel dispositivo è nominato Berlusconi perchè legato a Marcello Dell'Utri, ritenuto una sorta di ambasciatore dell'ulteriore ricatto che dal 1994 avrebbe condizionato il primo governo Berlusconi. Nel dispositivo si dice che per fermare le stragi del 1992-93 ben tre governi della Repubblica accettarono di venire a patti con Cosa nostra. Ergo: 12 anni di condanna per gli ex generali Mario Mori e Antonio Subranni, altri 12 per Dell' Utri, otto per l' ex colonnello Giuseppe De Donno, 28 per il boss Leoluca Bagarella.

Assolto l'ex ministro Nicola Mancino, che ieri gongolava stucchevolmente come se al centro del processo ci fosse stato solo lui. Ci sono anche 8 anni per Massimo Ciancimino, testimone che cercò d' inguaiare l' ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Traduzione del Fatto Quotidiano e di Antonio Ingroia: la Seconda Repubblica è stata edificata nel sangue delle stragi e se questo teorema non verrà confermato (perché di teorema ideologico di tratta) significa che in futuro qualcuno condizionerà negativamente la magistratura.

IL PARADOSSO DI MORI
Soffermarsi sulle assurdità delle accuse e sul nonsense dell' intero processo necessiterebbe di qualche pagina, anche perché l' accusa ha atomizzato e parcellizzato l' istruttoria in rivoli che hanno fatto perdere la visione d' insieme. Tra i vari assurdi, spicca in particolare l' incredibile paradosso del generale Mario Mori (l' uomo che ha fatto fare a Riina 25 anni al 41bis) e che era già stato assolto per vicende ora rinverdite: la mancata cattura di Provenzano e la mancata perquisizione del covo di Riina.

Resta dunque una «trattativa» senza logica ma soprattutto senza una carta, un documento o qualsiasi altra fonte che ne attesti l' esistenza: le «prove» sono tutte testimonianze molto tardive di mafiosi e dintorni, e l' unica prova di scambio sarebbe il mancato rinnovo dei 41bis da parte del ministro Giovanni Conso, che però riguardò soltanto galeotti di secondo piano. Conso peraltro ha testimoniato che prese la sua decisione in solitudine e senza pressioni, come confermarono tutti i testi istituzionali: Violante, Martelli, Amato, Rognoni, Andò, Pomodoro, Contri, Ferraro, Gratteri, Savina e Principato.

Al giudice non è importato. Nelle sue motivazioni della sentenza sarà divertente leggere come verrà bypassata anche la tenuta logico-giuridica dell' imputazione (criticata dai massimi giuristi del Paese) e soprattutto l' esistenza del giudicato già formatosi nel citato processo-clone Mori-Obinu, oltre alla presenza di accusatori già condannati per calunnia. In termini di diritto (roba complicata) c' è poi da registrare l' assenza dell' elemento oggettivo e soggettivo delle condotte illecite (ossia la consapevolezza e la prova del fatto avvenuto) nonchè la presenza, nell' istruttoria di Nino Di Matteo, delle stesse «convergenza del molteplice» e «circolarità delle informazioni» che nel fallimentare processo su Via D' Amelio, quella sulla strage che uccise Paolo Borsellino, permisero al pm Nino Di Matteo di mandare in galera per 18 anni degli innocenti.

Un avvocato ha detto, rivolto alle telecamere: abbiamo perso questa battaglia, vinceremo la guerra. Speriamolo, altrimenti saremo davvero alla fantasia (mentale) al potere.

Filippo Facci
(Libero 22.4.18)


2) Stato-Mafia, la trattativa ...secondo il povero Ingroia

INGROIA QUESTO! - L’EX PM ESULTA PER LA SENTENZA SUL PROCESSO STATO-MAFIA: “LA SECONDA REPUBBLICA E’ STATA EDIFICATA SULLA TRATTATIVA CON ‘COSA NOSTRA’ - MASSIMO CIANCIMINO? GLI ITALIANI SONO IN DEBITO CON LUI - NEGLI SCORSI ANNI BERLUSCONI E NAPOLITANO HANNO LASCIATO LA LORO IMPRONTA IN UNA MAGISTRATURA SEMPRE PIÙ PRUDENTE… FAREI IL MINISTRO IN UN GOVERNO LEGA-M5S

Da "il Fatto Quotidiano":
"I pilastri della Seconda Repubblica sono costruiti nel sangue delle stragi del 1992 e 1993: è accertato". Brinda l' avvocato Antonio Ingroia, l' ex pm del processo durato cinque anni: "La trattativa tra Stato e Cosa nostra non è più presunta".

Dell'Utri era il tramite, secondo la sentenza, tra i boss e il primo governo Berlusconi. Si scrive Dell'Utri e si legge Silvio Berlusconi?
È una sentenza storica. Convalida anche la mia ricostruzione nel processo Dell' Utri, dove l'ex senatore è stato condannato come mediatore tra la mafia e l'imprenditore Berlusconi per i fatti precedenti alla nascita di Forza Italia. Adesso il cerchio si è chiuso. La condanna penale di Dell' Utri diventa condanna etico-politica per Berlusconi […]

La Seconda è stata una Repubblica eversiva?
La Seconda Repubblica è stata edificata sulla Trattativa dello Stato con Cosa nostra.

Massimo Ciancimino: condannato a otto anni per calunnia, ma assolto dall'accusa di concorso esterno. Un cattivo o un buono?
Gli italiani sono in debito con questo signore […]

[…] È il primo grado, però. Pronostici per l'appello?
Dipende da cosa accadrà nel nostro Paese.

Che cosa intende dire?
Il clima politico crea un condizionamento nella magistratura.

Allora è successo anche per questa sentenza?
[…] Negli scorsi anni soprattutto Berlusconi e Giorgio Napolitano hanno lasciato la loro impronta in una magistratura sempre più prudente.

[…] Questa sentenza è un assist per Salvini? Per mollare Silvio Berlusconi e fare il governo con Luigi Di Maio?
Salvini dovrebbe avere gli occhi foderati di prosciutto per ignorare il verdetto.

Farebbe il ministro in un governo M5S-Lega?
Se fossero garantite le condizioni per una politica coraggiosa della giustizia sì.
[…].

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E così, il guatemalteco farebbe volentieri il ministro... ; ma suvvia, Ingroia, un minimo di pudore!

Chi mai lo vuole ancora, questo personaggio ???

sabato 21 aprile 2018

1) Stato-Mafia: trattativa c'era. ...Ci sarà anche in Appello??

                              Così titola il Fatto.


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Questo, invece, scrive il Foglio:


Sentenza grillina sulla Trattativa

La Corte d’assise di Palermo condanna Mori, Subranni e Dell’Utri e apre una nuova stagione di assedio giudiziario contro il Cav. Le sentenze ignorate, il mistero del pataccaro Ciancimino, il trionfo del circo mediatico, i populismo dei giudici popolari

20 Aprile 2018 alle 21:04

Chapeau. Il galateo istituzionale insegna che di fronte a una sentenza emessa in nome del popolo italiano non c’è altro da fare che scappellarsi. Dopo cinque anni di discussioni e di polemiche la Corte di assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, ha stabilito che negli anni delle stragi di mafia, alcuni funzionari dello Stato scesero a patti con i boss di Cosa nostra. Magari con la migliore intenzione, che poi era quella di fermare il fiume di sangue. Ma la trattativa ci fu. Ed è bastata questa convinzione per spingere i giudici togati e i giudici popolari a distribuire condanne pesantissime a tutti gli imputati. A cominciare dai due generali dei carabinieri, Mario Mori e Antonio Subranni, che tra il 1992 e il 1994 si trovarono nell’inferno di Palermo e, da bravi investigatori, attivarono tutti i mezzi per contrastare il disegno eversivo di Totò Riina e dei sanguinari corleonesi. La sentenza non gli riconosce una sola attenuante e li condanna a dodici anni di carcere.
  
Prima di restare impigliati nel processo istruito dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e sostenuto in aula con particolare forza dal pubblico ministero Antonino Di Matteo, i due alti ufficiali dell’Arma erano addirittura convinti di dovere ricevere prima o poi una medaglia a nome di tutti gli italiani: perché erano riusciti a fermare la strategia delle bombe; e perché avevano arrestato e sepolto nel carcere duro Totò Riina, il capo dei capi. Invece sono stati costretti per oltre dieci anni a salire e scendere le scale dei tribunali. E pur avendo collezionato assoluzioni nei processi specifici – a cominciare da quello per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, il boss che secondo il teorema della trattativa avrebbe tradito il capo dei capi, consegnandolo agli sbirri – si sono ritrovati oggi nell’aula bunker del Pagliarelli sotto il maglio impietoso di una condanna difficilmente sopportabile. Ovviamente, i loro avvocati presenteranno appello. Ma ci vorranno almeno altri due o tre anni prima che si possa arrivare a una sentenza di secondo grado. Intanto il calvario si allunga: da qui al 2021, se tutto filerà liscio, avranno collezionato quindici anni di sofferenze, di sospetti, di gogna, di disperazione di morte civile. Né Mori né Subranni sono più dei giovanotti. E quando si è vecchi, annotava Luis de Góngora, “ogni caduta è un precipizio”.
  
Farà i conti con la propria età e con una giustizia senza fine anche Marcello Dell’Utri, l’ex braccio destro di Silvio Berlusconi, in carcere già da quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i giudici di Palermo ha avuto anche lui un ruolo nella Trattativa e ai sette anni precedenti, quelli inflitti per concorso esterno, andranno cumulati altri dodici anni. Fine pena mai.
   
In fondo è andata meglio ai mafiosi. Leoluca Bagarella, cognato di Riina, sulle cui spalle gravavano già una decina di ergastoli, aggiunge al suo casellario giudiziario un’ulteriore condanna a ventotto anni. Ma il pluriassassino Giovanni Brusca, l’uomo che nel maggio del ’92, premette il telecomando e fece saltare in aria a Capaci il giudice Giovanni Falcone, se l’è cavata alla grande: il reato gli è stato prescritto, forse in virtù del fatto che da quando è stato catturato – con grande clamore e giubilo delle forze dell’ordine – lui ha molto opportunamente abbracciato la professione di “pentito” con un programma a maglie larghe che gli ha consentito anche di godersi un po’ di bella vita.
  
Ma la sorpresa più clamorosa sta nella condanna inferta a Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, e testimone centrale di tutta la trama accusatoria. Al giovane Massimuccio – già in carcere pure lui per altre ribalderie consumate mentre Ingroia lo elevava al rango di “icona dell’antimafia” e il fratello di Paolo Borsellino lo abbracciava e lo baciava nelle pubbliche manifestazioni – la Corte d’assise ha riconosciuto il ruolo di pataccaro: difatti lo ha condannato a otto anni per le calunnie rivolte all’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro e non per concorso esterno in associazione mafiosa. Dimenticando, probabilmente, un dettaglio: che Massimo Ciancimino era il teste chiave di questo processo. Anzi. Questo processo non si sarebbe potuto imbastire senza le sue clamorose “rivelazioni”. Lui, furbissimo, si era trasformato nel ventriloquo di suo padre e in quanto tale raccontava non solo a Ingroia ma anche a tutti i giornalisti che lo intervistavano gli incontri che il vecchio Don Vito, corleonese e amico di Riina e Provenzano, aveva avuto non solo con il generale Mario Mori, ma anche con il capitano Giuseppe De Donno, anch’egli processato e condannato a otto anni di carcere.
  
Come si dice in questi casi, per chiarire un dubbio bisognerà doverosamente aspettare le motivazioni della sentenza. Intanto però il dubbio resta in piedi: se il principale teste è un pataccaro, su quali elementi i giudici hanno costruito le granitiche certezze che li hanno spinti a formulare condanne così gravi e ferrose?
  
Ciancimino – giudiziariamente parlando, per carità – era stato fatto a pezzi già nel novembre del 2015 dal giudice Marina Petruzzella che con rito abbreviato aveva giudicato e assolto l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, imputato nella trattativa alla stregua di Mori, di Subranni e di Dell’Utri.  
  
Le sue dichiarazioni, stando alla valutazioni di Marina Petruzzella, erano da considerare “contraddittorie, confuse, divagatorie e incoerenti”. Eppure quelle dichiarazioni hanno trovato spazio e accoglimento nel maxi processo concluso oggi con sette durissime condanne. (L’unica assoluzione è stata quella dell’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza). Come mai?
  
La credibilità assegnata dalla Corte al pataccaro Ciancimino non è tuttavia l’unico mistero che i giudici dovranno chiarire nel momento in cui si siederanno a un tavolo per scrivere le motivazioni. Bisognerà capire anche per quali ragioni siano stati ignorati i verdetti delle precedenti assoluzioni. Secondo l’impostazione originaria data da Antonio Ingroia la presunta Trattativa tra i boss e alcuni settori, ovviamente deviati, dello Stato si basava su alcuni riscontri, su alcuni fatti strani e inquietanti: primo, Mori e i suoi carabinieri avevano tutti gli elementi in mano per catturare Bernardo Provenzano, il numero di due di Riina, ma non lo hanno fatto per avere in cambio la “soffiata” che li avrebbe portati alla cattura del mammasantissima; secondo, sempre Mori e i suoi carabinieri, dopo avere ammanettato Riina, avrebbero dovuto immediatamente perquisire il covo di via Bernini dove il capo dei capi aveva vissuto la latitanza, ma non lo hanno fatto per consentire ai più stretti complici del boss, come Leoluca Bagarella, di fare sparire tutte le carte, soprattutto quelle che avrebbero potuto portare le indagini ai santi protettori, anche politici, della mafia. Ma questi riscontri, chiamiamoli così, erano stati polverizzati da due sentenze di assoluzione pronunciate dai tribunali chiamati a giudicare, per quei reati, sia Mori che De Donno.
  
Con quale criterio la Corte d’assise li ripesca e li fa propri? Quali solidi argomenti, insomma, hanno spinto il collegio presieduto da Alfredo Montalto a ignorare la sentenza di Marina Petruzzella e i due verdetti dei tribunali che non hanno trovato macchia nel comportamento dei carabinieri?
  
Probabilmente – e non sarebbe il primo caso – una spiegazione andrebbe ricercata nel fatto che, nelle Corti d’assise, un peso non indifferente viene assegnato ai giudici popolari. I quali, per definizione, risentono maggiormente degli umori che pervadono la comunità. Il giudice togato ha un distacco professionale, ha una “terzietà” costruita con i propri studi e lungo la propria carriera. I giudici popolari, no. Hanno assistito e probabilmente assimilato un processo mediatico durato quasi dieci anni. Ricordate Ingroia che, pur di collegarsi con tutti i talk-show e predicare le sue verità sulla trattativa se n’era persino andato in Guatemala? E ricordate Massimo Ciancimino che parlava in nome del padre e denunciava le più improbabili nefandezze di uomini, come Mori o De Gennaro, che invece avevano rischiato la vita pur di arginare la litania dei massacri testardamente voluta da Totò “u’ curtu”, da Bagarella, da Brusca e dagli altri scellerati corleonesi? E ricordate quanti altri giudici e quanti giornalisti si erano accodati al populismo facile della tesi secondo la quale Berlusconi, tramite Dell’Utri, palermitano e amico del boss Antonino Cinà, era sceso a patti con la mafia? E ricordate i riconoscimenti e le cittadinanze onorarie che i magistrati della Trattativa, primo fra tutti Nino Di Matteo, andavano raccogliendo nei comuni piccoli e grandi d’Italia per il semplice fatto di credere nelle accuse che Ingroia e Ciancimino avevano costruito e che altri tribunali avevano invece demolito? 
  
Comizi, conferenze, riconoscimenti, associazioni adoranti – come Agende rosse, come Scorta civica – avevano trasformato i pubblici ministeri di questo processo in eroi, in campioni buoni per le piazze soprattutto grilline. E non è certamente un caso che proprio Di Matteo fosse stato indicato da Beppe Grillo come probabile ministro di un eventuale governo a cinque stelle. Potevano i giudici popolari girarsi dall’altra parte?
  
Oggi, dopo la lettura della sentenza il pm Di Matteo si è presa la sua legittima soddisfazione. “Nella nostra impostazione accusatoria, che ha retto completamente, si sostiene che Dell’Utri sia stato la cinghia di trasmissione tra Cosa nostra e il governo Berlusconi”, ha detto. E così dicendo ha sollevato un altro dubbio. Nella sentenza che quattro anni fa ha spedito in carcere l’ex senatore per concorso esterno era scritto e stabilito che l’imputato aveva mantenuto rapporti con i boss fino al 1992. La sentenza smentisce questo assioma, verificato persino dalla Cassazione, e sostiene che Dell’Utri entra in gioco nel ’93 e continua a mafiare tranquillamente fino al ’94 quando Berlusconi è già a Palazzo Chigi. Su quali prove?

Lo diranno, se sapranno dirlo, le motivazioni. Intanto la squadra che fa capo a Di Matteo prepara una nuova stagione giudiziaria. 
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MAH...; e poi cosa succederà in Appello???