DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)

domenica 22 aprile 2018

3) Stato-Mafia, la trattativa. La sentenza secondo Facci

“NON C'È PROVA DELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA” - FILIPPO FACCI: “RESTA DUNQUE UNA ‘TRATTATIVA’ SENZA LOGICA MA SOPRATTUTTO SENZA UNA CARTA, UN DOCUMENTO O QUALSIASI ALTRA FONTE CHE NE ATTESTI L'ESISTENZA: LE ‘PROVE’ SONO TUTTE TESTIMONIANZE MOLTO TARDIVE DI MAFIOSI E DINTORNI, E LO SCAMBIO SAREBBE IL MANCATO RINNOVO DEI 41BIS DA PARTE DEL MINISTRO CONSO. LE TESI DELLA PROCURA SONO STATE SCONFESSATE 4 VOLTE. LA SENTENZA SARA’ ROVESCIATA IN APPELLO”.

Ritenta, sarai più fortunato. Già distrutto da quattro sentenze, l' impianto del processo «trattativa» ha trovato fortuna (diciamo) in un dispositivo incredibilmente scandaloso, soprattutto per i pochissimi che sanno davvero di che cosa stiamo parlando: ma, se questo è ancora un paese occidentale, il dispositivo non durerà, e verrà rovesciato in Appello e in Cassazione. Questo è pacifico: ma nella breve distanza, intanto, succede quel che succede.

La prima balla è che non si sapesse come sarebbe finita, anzi, che sia stata «una sentenza che pochi si aspettavano» come ha scritto ieri La Stampa, giornale che forse, con quel «pochi», si riferiva a chi seguiva ancora il processo e non l'avesse derubricato tra le follie siciliane di cui nessuno capisce niente - nè gl' importa - come pure, tra addetti ai lavori, si diceva capissero i giudici popolari. Ma i giudici popolari, si dice anche, non contano nulla, e infatti il vero protagonista resta lui, Alfredo Montaldo, il giudice del dibattimento su cui le difese riponevano poche speranze non solo per il comportamento in istruttoria, ma per via del curriculum.
È il giudice, tra l'altro, che nel 1995 tenne Calogero Mannino in carcere per una vita, e che, dopo che Mannino aveva perso 40 chili tra le sbarre, disse che era stata una sua scelta dietetica perché si nutriva solo di verdure. Mannino è stato assolto con rito abbreviato nel 2015: ma qui siamo al punto che a non contare nulla non sono solo i passati comportamenti dei giudici - questo è normale - ma neppure le chiare e inoppugnabili sentenze che già hanno spiegato che non ci fu nessuna «trattativa» tra Stato e mafia, in Italia.

Le sentenze precedenti, soprattutto quella del processo Mori-Obinu (mancata cattura di Provenzano) fu vergata dal giudice Mario Fontana e ha costituito un fantasma che tutti avvertivano ma che nessuno vedeva: forse per le motivazioni cristalline che fornì, forse per come distrusse la stessa parte di procura che oggi festeggia, forse perché chi si scagliò contro i tre giudici del processo Mori-Obinu - come Marco Travaglio - ne ricavò 150mila euro da dover risarcire.

I TESTI RESPINTI 
Non si sapeva come sarebbe finita - ora dicono - ma a parte che non è finita (i primi gradi, in Italia, sono fatti per essere rovesciati) c' era comunque la montagna di documenti della difesa che non erano stati accolti, soprattutto c' erano i testi respinti: compresi calibri come Ilda Boccassini, Giuseppe Ayala e Antonio Di Pietro.
Non si sapeva come sarebbe finita, ma la maniera in cui il gip Piergiorgio Morosini subentrò al gip Michele Alaimo fu colta come un segnale. Anche perché Morosini, poi passato al Csm, nel 2011 scrisse un libro («Attentato alla giustizia») in cui si citavano ampiamente «i recenti sviluppi sulla "trattativa" tra Stato e mafia che sarebbe sullo sfondo delle stragi del 1992 e 1993».

Poi ci sarebbe il citatissimo «mutato clima politico», ma queste son cose da dietrologi.
Una sorta di compiacimento neo-stagionale si coglie soprattutto dal modo in cui tanti giornalisti han scritto della sentenza, mentre per il resto è innegabile soltanto (soltanto?) che la sentenza influenza l' unica trattativa certa (quella per la formazione di un governo) e che la modifica è in chiave anti-Forza Italia: la quantità di scemenze dette nelle scorse ore evidenzia, per tornare a una battuta di Berlusconi, che Mediaset non ha abbastanza cessi per farli pulire a tutti i grillini che dovrebbero farlo.

Ecco, forse si può dire che non si sapeva che i giudici avrebbero aderito a tal punto con le richieste dell' accusa, consentendo ora il delirio dei riscrittori della storia d' Italia in chiave criminale. Più o meno così: le stragi dei corleonesi di Riina ebbero alcuni uomini delle istituzioni tra i complici del ricatto mafioso fatto allo Stato: da qui la condanna per «violenza e minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario», ciò che fece piegare un governo alle richieste di Cosa nostra. Politici e carabinieri avrebbero cioè offerto l' attenuazione del carcere duro per 300 mafiosi già in galera, ma la trattativa sarebbe proseguita anche dopo l' arresto di Riina (1993) e avrebbe portato altri benefici come il mancato arresto del successore di Riina, Bernardo Provenzano.

Nel dispositivo è nominato Berlusconi perchè legato a Marcello Dell'Utri, ritenuto una sorta di ambasciatore dell'ulteriore ricatto che dal 1994 avrebbe condizionato il primo governo Berlusconi. Nel dispositivo si dice che per fermare le stragi del 1992-93 ben tre governi della Repubblica accettarono di venire a patti con Cosa nostra. Ergo: 12 anni di condanna per gli ex generali Mario Mori e Antonio Subranni, altri 12 per Dell' Utri, otto per l' ex colonnello Giuseppe De Donno, 28 per il boss Leoluca Bagarella.

Assolto l'ex ministro Nicola Mancino, che ieri gongolava stucchevolmente come se al centro del processo ci fosse stato solo lui. Ci sono anche 8 anni per Massimo Ciancimino, testimone che cercò d' inguaiare l' ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Traduzione del Fatto Quotidiano e di Antonio Ingroia: la Seconda Repubblica è stata edificata nel sangue delle stragi e se questo teorema non verrà confermato (perché di teorema ideologico di tratta) significa che in futuro qualcuno condizionerà negativamente la magistratura.

IL PARADOSSO DI MORI
Soffermarsi sulle assurdità delle accuse e sul nonsense dell' intero processo necessiterebbe di qualche pagina, anche perché l' accusa ha atomizzato e parcellizzato l' istruttoria in rivoli che hanno fatto perdere la visione d' insieme. Tra i vari assurdi, spicca in particolare l' incredibile paradosso del generale Mario Mori (l' uomo che ha fatto fare a Riina 25 anni al 41bis) e che era già stato assolto per vicende ora rinverdite: la mancata cattura di Provenzano e la mancata perquisizione del covo di Riina.

Resta dunque una «trattativa» senza logica ma soprattutto senza una carta, un documento o qualsiasi altra fonte che ne attesti l' esistenza: le «prove» sono tutte testimonianze molto tardive di mafiosi e dintorni, e l' unica prova di scambio sarebbe il mancato rinnovo dei 41bis da parte del ministro Giovanni Conso, che però riguardò soltanto galeotti di secondo piano. Conso peraltro ha testimoniato che prese la sua decisione in solitudine e senza pressioni, come confermarono tutti i testi istituzionali: Violante, Martelli, Amato, Rognoni, Andò, Pomodoro, Contri, Ferraro, Gratteri, Savina e Principato.

Al giudice non è importato. Nelle sue motivazioni della sentenza sarà divertente leggere come verrà bypassata anche la tenuta logico-giuridica dell' imputazione (criticata dai massimi giuristi del Paese) e soprattutto l' esistenza del giudicato già formatosi nel citato processo-clone Mori-Obinu, oltre alla presenza di accusatori già condannati per calunnia. In termini di diritto (roba complicata) c' è poi da registrare l' assenza dell' elemento oggettivo e soggettivo delle condotte illecite (ossia la consapevolezza e la prova del fatto avvenuto) nonchè la presenza, nell' istruttoria di Nino Di Matteo, delle stesse «convergenza del molteplice» e «circolarità delle informazioni» che nel fallimentare processo su Via D' Amelio, quella sulla strage che uccise Paolo Borsellino, permisero al pm Nino Di Matteo di mandare in galera per 18 anni degli innocenti.

Un avvocato ha detto, rivolto alle telecamere: abbiamo perso questa battaglia, vinceremo la guerra. Speriamolo, altrimenti saremo davvero alla fantasia (mentale) al potere.

Filippo Facci
(Libero 22.4.18)


Nessun commento: